26 giugno, 2006

Aristocrazia siliconica

Qualche giorno fa ho preso un treno per Milano, non ricordo bene per quale motivo: arrivo in stazione e, mentre sono in coda per comprare il biglietto, guardo la gente in coda e qualcosa attira la mia attenzione.

Per la precisione due protuberanze emisferiche sul corpo di una ragazza due persone dietro di me. Quando dico emisferiche vuole dire che se fosse stato possibile staccarle e unirle tra di loro si sarebbe ottenuta una sfera perfetta con cui si sarebbe potuto giocare una partita a pallamano: per il possesso di quella particolare palla tutto sarebbe stato accettato.

Le due protuberanze però non avrebbero fatto tanto scalpore se il vestito della ragazza non fosse stato tanto leggero e sorretto da due spalline che ripercorrevano i semidiametri immaginari delle sue tette rifatte a partire proprio da un centimetro sopra il capezzolo.
Avevamo a che fare con qualcosa che sembrava piuttosto la creazione di un maestro del manga che di un chirurgo brasiliano che misura le sue opere in kiloeuro.

Il mio sguardo, da esplorativo come era all'origine, si è trasformato prima in concupiscente e poi in platealmente esplicito al punto da poter attribuire ai miei occhi la fissità tipica dell'ottuso. Non è la prima volta che, dopo aver visto un paio di tette, mi va a puttane il ragionamento logico e la corteccia rettiliana prende il sopravvento.
Ciò nonostante riesco a dire "biglietto milano" ed ipoteco la mia presenza sull'interregionale.

L'apparizione aveva cominciato a dettare scompiglio in tutta la stazione: con il biglietto in mano vado a cercare in edicola un fumetto da leggere durante il tragitto. Qui l'edicolante, una donna di sessant'anni, commenta la decadenza dei costumi.
Si immagina come sarà la situazione siliconica della poveretta fra quarant'anni, prevede un altro intervento di riduzione, commisera la giovane per la scelta dettata da fattori effimeri, accusa gli uomini di prestarsi al gioco e di essere una concausa di tanto scempio.

Fortunatamente trovo il mio fumetto. Fortunatamente, nonostante il disorientamento provocato dai miei istinti animali, trovo anche il treno: mi è stato d'aiuto il fatto che sia lo stesso treno della ragazza di cui si parla.
Nell'attesa ripercorro la banchina un paio di volte: mi inbatto nella bionda, sì, ricordo il colore dei capelli, nonostante tutto, e provo a ricordare l'equazione della sfera, ma inutilmente. Il PNI non ha lasciato grandi tracce.
L'oggetto dell' osservazione ha dei lineamenti morbidi, né brutta né troppo bella, mi dà l'idea di una pornostar rumena.

Arriva il treno. Salgo, dietro l'oggetto (non è forse evidente il tentativo di volersi trasformare in oggetto del desiderio?), e mi ritrovo tra due vagoni.
A sinistra prima classe declassata a seconda, compatibile col mio biglietto, a destra prima classe e basta.

Dopo aver verificato l'assenza dell'aria condizionata a sinistra desisto e mi dirigo a destra. Lo stesso vale per la bionda e la sua amica - ho detto che era accompagnata da un'amica?
Quest'ultima è meno appariscente ma non meno interessante dal punto di vista antropologico: decide di lasciar perdere la prima declassata a causa della cattiva compagnia di quella "gente" che ha un biglietto così poco costoso.

Si siedono nella prima non declassata e io passo avanti.
Dopo un po' trovo un vagone di seconda con l'aria condizionata, mi immergo nel fumetto e ne esco poco prima dell'arrivo. Ritorno su miei passi e mi avvicino alla testa del treno: ripasso la bionda rotonda e l'amica che non si mischia alla plebe.

Attendendo l'arresto del treno alla medesima uscita di queste ultime, il sottoscritto sempre con la fissità tipica dell'ottuso negli occhi sente l'amica che commenta con disprezzo chi ha preso il loro posto: "guarda chi si è seduto, che schifo!".

Disgustorama.

Lasciando dietro di me l'aristocrazia del silicone, vado per la mia strada.